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ZAVAROV E PANCEV. LE DELUSIONI VENUTE DALL’EST

ZAVAROV E PANCEV. LE DELUSIONI VENUTE DALL’EST

Venivano da mondi lontani. Mondi chiusi. Da dove era difficile uscire. Dal’Est comunista. In un periodo in cui il mondo e l’Europa erano divisi in due.

Zavarov oltrecortina. In uno stato, l’Unione Sovietica, che impediva la libera circolazione delle persone.

Pancev dall’altra parte dell’Adriatico. In un paese che si chiamava Jugoslavia.

E le loro storie si confondevano col mito. Perché le notizie da quel mondo arrivavano filtrate. Fiori sbocciati nel freddo. Geni coltivati tra il rigore dell’inverno e lo sguardo attento del partito.

Zavarov cresciuto alla corte del Colonnello Lobanovski. Nel calcio scientifico in cui lui era la primula rossa. Perché calciatore universale capace di fare il regista o il centravanti. E con piedi raffinati per poter dialogare stretto con i compagni.

Pancev finalizzatore di una squadra che debordava di talento. La Stella Rossa. A cogliere i frutti del genio slavo che creava e tesseva calcio. Tanto da vincere Coppa Campioni. Secondo al Pallone d’oro e Scarpa d’oro. Il Cobra lo chiamavano.

Con queste premesse sbarcarono in Italia. Seguiti dalla loro fama. I Campioni venuti dall’Est.

Uno a sostituire Platini. L’altro a portare la 9 dell’Inter per perpetuare il suo rapporto erotico col gol. 

A dare lustro al blasone delle regine d’Italia.

E invece non andrà così. Perché i due si muovono spaesati in campo. Quasi a disagio in una terra straniera. Come non riconoscessero più il pallone. Quasi fosse diventato un elemento alieno. Ché forse è troppo diversa quella terra da casa loro. Tanto che ti manca la vodka la sera e il freddo che ti congela il naso.

Saranno definiti bidoni. Ingeneroso per chi a casa lucida coppe e trofei. E così continueranno a girare per l’Europa. Senza mai più ritrovare il tempo perduto.

Di quando a casa loro, lì nell’oscuro Est, predicavano calcio all’ombra del comunismo.