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VALERI LOBANOVSKY

VALERI LOBANOVSKY

Era uomo dalla spiccata razionalità il Colonnello Lobanovsky. Quasi un cervello che cammina. E quella razionalità l’ha voluta dispiegare sul campo di pallone. Non una squadra fatta di individui ma un corpo unico che si muovesse in modo organico.

Lui che con l’aiuto di matematici aveva cominciato, primo, ad usare un computer per dividere in modo sistematico il campo in zone da coprire e traiettorie di passaggi da seguire. Tutto doveva essere definito perché l’organizzazione è fatta di schemi ripetuti.

E poi di condizione atletica. E allora si va nella stagione invernale a temprare il corpo, a renderlo idoneo ad un gioco dall’alta intensità. Perché la squadra è un meccanismo che, se ben oleato, funziona a dovere. Ma se uno dei gangli si rompe, la macchina si inceppa. E allora tutto deve essere programmato alla perfezione.

Come le costruzioni sovietiste, fredde, geometriche ma funzionali. E qualche volta con lo slancio ad ergersi verso il cielo. Il Colonnello fu degno rappresentante di un regime che della razionalità materialista volle fare bandiera, pensando più al bene collettivo che al benessere del singolo. E così preferiva giocatori molto versatili che sapessero difendere e attaccare, dribblare e coprire. Intercambiabili nei ruoli e nei comportamenti.

Il colonnello era davvero colonnello dell’Armata Rossa e del militare ricordava la disciplina e la sobrietà. La gioia come la tristezza riassunti in un’unica espressione. Quelle inquadrature tutte uguali che ne fanno una maschera o meglio una statua come quelle di cui son pieni i parchi di Mosca. Quasi l’alter ego sportivo di Breznev.

Riuscì lui a portare il calcio sovietico oltre cortina (vincendo due coppe delle Coppe con la Dinamo Kiev e una finale degli Europei con la Russia), mostrando al mondo un calcio moderno fatto di intensità, indicando una delle strade seguite dal futuro pallonaro.

Perché in fin dei conti il Colonnello Lobanovsky era un visionario travestito da rigido funzionario sovietico. Calcio Graffiti