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STORIA DI UN CALCIATORE / L’ESORDIO

STORIA DI UN CALCIATORE/L’ESORDIO

Avevo 18 anni. Ero passato alla Primavera. In squadra ormai ero titolare fisso. La fascia sinistra era il mio territorio. La solcavo con velocità e controllo di palla. E qualcuno veniva ad osservarmi. Tanto che tra i corridoi si vociferava di squadre di serie B che mi volevano.

Mi piaceva vivere a Torino. Uscire la sera sotto i portici. Farmi un giro ai Murazzi. Tutto mi era ormai familiare. Non era la mia terra ma ci stavo bene. Ero diventato uno di quei “terroni” trapiantati dall’accento indefinibile. Metà piemontese e metà meridionale.

A fine stagione il Mister della prima squadra venne da me e mi disse che avrei fatto il ritiro con loro. Ero eccitatissimo. La mia mente cominciò a galoppare prefigurandomi stadi gremiti e convocazioni in nazionale. Mi vedevo già correre col pallone sul prato di San Siro mentre il boato del pubblico mi sospingeva. Stavo entrando nel mondo dei professionisti.

Ma quel mondo era duro. Gli allenamenti erano tosti e si dovevano rispettare gli ordini. Al confronto con i veterani mi sentivo piccolo piccolo. Davo del lei a quelli più grandi. Era una caserma. Con poco spazio per la fantasia.

All’inizio della stagione tornai in Primavera. Quasi rassicurato. Mi sentivo più a mio agio. Pensavo di non essere ancora pronto per quel balzo. E immaginavo di non aver destato una buona impressione. Ma sorprendentemente, la terza giornata, il Mister mi convocò. Mi voleva con lui in panchina.

E così entrai nello stadio. Mi sentivo come quando facevo il raccattapalle. Spettatore attivo. Quasi uno a cui avessero dato il biglietto omaggio. Come se tutto quello non riguardasse me. Mi sentivo spaesato.

Avevo l’ansia. Speravo che nessuno si facesse male. Che non fossi costretto ad entrare. Sentivo il pubblico dietro di me e ad ogni suo fragore mi si accapponava la pelle. Ero combattuto tra la paura e la voglia di seguire il mio destino.

Mentre la partita scivolava verso un noioso pareggio, il Mister mi disse di scaldarmi. Sarebbe stato il mio turno. L’ansia diventò terrore. Facevo gli esercizi sulla linea di fondo guardandomi attorno. Quasi chiedendo clemenza al pubblico.

E quando fu il momento di entrare, non sentii più le gambe e un formicolio mi percorse tutta la schiena.

Così, frastornato, entrai in campo. Sperando che nessuno mi passasse la palla. Ma la palla arrivò e la detti subito al portiere per non commettere errori. Sempre passaggi facili. Senza rischiare. Mantenendo la posizione. E piano piano il terrore si sciolse e la corsa divenne più fluida.

E vincemmo la partita. E tutti, anche i veterani, vennero a complimentarsi con me.

Sono Gianni Bartozzi e a 18 anni ero entrato nel mondo dei professionisti.