Roma caput mundi. Lì dove tutto è rappresentazione. Dalla politica allo sport. Passando per il cinema e il teatro. E nella capitale ogni arte vuole il suo palcoscenico. Che mostri la sua magnificenza. Che sia un degno proscenio.
Fin da quando, nella Roma antica, si costruivano anfiteatri per sollazzare il popolo e fomentarlo tra combattimenti e giochi di morte. Maestose erano le costruzioni perché quella era la capitale del mondo conosciuto. O come quando gli ordini religiosi gareggiavano tra loro in sontuosità, costruendo chiese che li rappresentassero nel mondo.
Anche lo sport voleva il suo luogo. Un posto dove celebrarsi. E lo voleva chi desiderava ricostituire l’Impero. Un Foro dello sport. Inizialmente Foro Mussolini e più tardi Foro Italico.
Un luogo dove si tornasse a respirare l’aria della Roma che fu. Con la plasticità delle statue (Stadio dei marmi) e l’esaltazione del gesto fisico. E accanto agli altri sport, il calcio con lo Stadio dei Cipressi. Per poi pensare a qualcosa di più maestoso quando il calcio cominciava a diventare icona di una nazione.
L’idea si concretizzò nel 1953 con lo “Stadio dei Centomila” che divenne poi “Stadio Olimpico” quando Roma per due settimane ritornò ad essere centro del mondo. Un’olimpiade che era un ritorno alla classicità.
A correre tra i templi e i palazzi. E quella cittadella dello sport che si illuminava dei sogni e le gesta degli atleti. Con quello stadio che guardava maestoso ai record dell’atletica. Così ben integrato in quello spazio che ricordava i millenni della storia capitale.
L’Olimpico è diventato la casa delle Romane. La casa del Derby. Quando la capitale si divide a marcare un’identità che vien prima della politica e della famiglia. Il luogo dove si sono svolte finali di Coppa Campioni ad onorare la città e la sua storia. E il luogo dei Mondiali del 90. Con il suo restyling. E quella struttura che così tanto si distaccava dall’idea originaria. Rompendo quella armonia che faceva del Foro un luogo in cui il moderno viveva in simbiosi con il classico.
In quei giorni l’Olimpico divenne la voce di un rinato sentimento di patria consumato tra gli spalti. Ché quello sport è simbolo e metafora di una nazione. Con la gente in piazza a festeggiare, con la mente e gli occhi a quello stadio che diventava il cuore di una comunità. E quella struttura con un unico anello che quasi invita la gente a diventare protagonista dello spettacolo. A diventare fronte unico come fa un’onda prima di rifrangersi.
Adesso le squadre vogliono abbandonarlo perché poco funzionale. Non è uno stadio per il calcio. Gli spalti sono troppo distanti. Ma rimarrà comunque nel ricordo la storia di un luogo dedicato all’esaltazione del gesto sportivo.