Mentre valicava l’asticella, Bubka vedeva tutti dall’alto. Il pubblico, i colleghi, i giudici. E guardava stranito il mondo sotto di lui che lo osservava con la testa all’insù. Come non appartenesse più alla vita sottostante.
Perché quella è la dimora degli uccelli. Non degli uomini. Di chi con il suo innalzarsi sfida la gravità. Imitando Icaro. Con l’aiuto di un’asta. Compagna fedele di vita. Che lo aiutava a realizzare il più antico dei sogni dell’uomo. Volare.
E dopo quel brivido vissuto a 6 metri, la terra lo richiamava a sé. Risucchiandolo giù. Perché quello è il destino degli uomini. Coi piedi piantati a terra.
Tanti anni a ripercorrere quel miracolo. Lì oltre i 6 metri. A scrivere, solo, la storia di una disciplina. Arrivando per 35 volte oltre se stesso. Un centimetro alla volta. A determinare ogni volta altezze mai raggiunte.
Senza nemici da affrontare. Ma come unico avversario quell’asticella che andava sempre più su. Ai confini della fisica.
E con quella maledizione olimpica che, tra boicottaggi, infortuni e gare sbagliate, gli regalerà un unico oro. Troppo poco per chi ha fatto del cielo la sua casa.
È stato un re Sergej Bubka. Un dominatore. Unendo vigore atletico e tecnica. Potenza e leggiadria.
Lui che ha insegnato agli uomini a volare.