Quando gli avversari entravano al Santiago Bernabeu, sentivano le gambe cedere e il cuore rullare. Come se qualcosa si stringesse a loro. Sottraendo il respiro.
Una presenza incombente che con il suo peso ti costringeva al terreno. E quando cominciavi a giocare, le gambe diventavano pesanti e gli avversari si moltiplicavano davanti a te.
Come se tutti quei campioni, quelle coppe, quelle maglie, comparissero all’improvviso per ricordare che lì si è fatta la storia. Quasi che la bacheca che campeggia nel museo si aprisse per consentire il passaggio in campo ai Di Stefano e ai Puskas. E ogni partita si ripetesse il miracolo della ricomparsa della gloria che fu.
È stato per molti anni un campo invalicabile. Che avevi timore solo a pronunciare. Perché ti avrebbe schiacciato sotto il peso della sua gloria. Troppo grande per poterne sopportare il peso. Con l’ansia degli ospiti che speravano solo che tutto sarebbe finito presto.
Un luogo del mito. Con un’anima che ti incute timore. Ma che fa parte dei nostri racconti più appassionati. Come quello che ci vide trionfare un giorno di luglio del 1982. Con un presidente che abbandonava il garbo istituzionale per mostrare la gioia di un popolo intero.
Perché il Bernabeu ti può terrorizzare.