“Non voglio stare in barriera! Quello tira le bombe.” E allora cerchi di coprirti la testa, le parti basse. O magari cerchi di metterti di culo. Ma il mister si incazza perché devi sempre vedere la palla quando parte. Ma tu hai una paura fottuta. Perché quando la palla viaggia dritta verso di te non ti rimane che pregare. E sperare che il dolore sia solo superficiale.
Quando Ronald Koeman tirava le punizioni, la barriera lo guardava intimorita. A sperare che la palla la sorpassasse.
Perché il biondo olandese aveva un piede forgiato nel piombo. Tanto che la palla sembrava deformarsi all’impatto con lo scarpino.
E quando il centravanti conquistava una punizione dal limite, erano tutti lì a far scongiuri. Ché la sentenza era stata già emessa. Ad augurarsi che improvvisamente avesse perso la forza. Per un maleficio o per improvvisa debolezza.
Perché era potente Koeman. Nel suo fisico roccioso. Nelle sue movenze pesanti. Un blocco unico. Come fosse un cubo di cemento. A far solchi sul campo. A scaricare il vigore dei suoi muscoli sul terreno. Con quei lanci dalla difesa che percorrevano tutto il campo. A trasformare un normale rilancio in un’occasione.
Un difensore atipico. A costruire più che a distruggere. Un’arma di offesa più che di difesa.
E allora capita che arrivi alla fine di una finale di Coppa dei Campioni. Al termine dei supplementari. E ci sia una punizione dal limite. E tutti lì ad aspettare l’inevitabile. Che puntualmente arriva. Come una necessità.
Con una traiettoria che sembra seguire una retta infinita. Che solo la rete riesce ad interrompere. La prima Coppa dei Campioni del Barca. Vinta col cinismo della forza.
La forza di Ronald Koeman. Calcio Graffiti