Due opposti che si attraevano. La matematica e la poesia. La statistica e il racconto.
Mentre Rino Tommasi citava numeri come scioglilingua, Gianni Clerici divagava attratto da un mondo fatto di gesti e movimenti felpati.
Tommasi impegnato nel cercare di ridurre lo sport ad una sequenza numerica. A tentare di interpretare i numeri come un novello Pitagora. Quasi a scovare l’essenza nascosta che faceva di un atleta un vincente. Con lo spirito del collezionista. Dell’accumulatore di dati. Da prelevare dal suo inesauribile cassettino della memoria.
Clerici, invece, sempre teso a trasfigurare lo sport in una metafora della vita. Nel suo racconto più simile ad un’arte che ad una gara. Per quello più impegnato a raccontare singoli colpi che a seguire un’intera partita. Nella ossessiva ricerca del gesto naif, dell’armonia del corpo, della sregolatezza del genio. Tutto ciò che eccedesse la regola.
Mentre Rino era sempre concentrato sulla partita, sulla tattica, i dati e la cronaca, l’altro quasi si distraeva. Magari attratto dal corpo di una tennista. O dalla sensualità di un rovescio ad una mano. Sempre alla ricerca di tennisti leziosi che definiva “sciagurati”. Come MIloslav Mecir o Petr Korda.
Puntuale e geometrico nella cronaca Tommasi, poetico e pindarico Clerici. Con un frasario fatto di metafore e delicate similitudini. Usando il tennis come mezzo per creare letteratura. Uno scrittore prestato allo sport come lo definì Italo Calvino.
E in tutto questo senza mai sovrapporsi allo spettacolo sportivo. Ma trasformandolo in racconto. Senza inutili svolazzi e iperboli roboanti. Mantenendo sempre il senso della moderazione.
Protagonisti di una telecronaca quasi informale, hanno rivoluzionato il modo di raccontare lo sport in tv. Così eccentrici da parere due amici che commentavano davanti allo schermo. Con competenza e cultura.
Facendo del tennis il più poetico e vitale dei racconti.