Capitava nelle serate particolarmente fredde. Che la testa gli fumasse. Come a crearsi un’aureola attorno a lui. Come diventasse lui il centro della scena. Quasi avesse dei fari puntati.
Perché Pierluigi Collina si prendeva la scena. E non solo per la pelata. Che lo caratterizzava. Che te lo faceva riconoscere tra mille. Anche tra un nugolo di calciatori. Ma per la personalità. Per lo spiccato senso del dirigere.
Autorevole. Ma mai autoritario. Senza sovrapporsi alla partita e ai suoi protagonisti. Ma cercando di dialogare. Con un senso della trasparenza talvolta sconosciuto alla categoria.
Dando un senso alle sue decisioni. Con la spiegazione. Rendendo tutto comprensibile. Non trincerandosi dietro il fischietto.
Ma dove non arrivavano le parole, arrivava lo sguardo. Spiritato. Ad esibire forza e decisione. Ad ammonire senza cartellini. Con l’espressività de “L’urlo” di Munch.
Più famoso degli stessi giocatori. Guadagnandosi copertine e riflettori. Dirigendo finali di Champions e Mondiali. Senza mai abusare dell’inusitata fama. Ma cercando di rimanere giudice terzo. Arbitro per l’appunto. Non facendosi mai travolgere dalle emozioni.