Cosa sarebbe la vita senza i sogni? Senza quella scintilla che ti fa vedere possibile ciò che gli altri ritengono irrealizzabile. Che ti permette di scavalcare la realtà, immaginando un mondo diverso. Qualcosa che non c’è mai stato.
Paolo Mantovani era un sognatore. Uno che compra la Sampdoria nel 1979 e decide di farla competere con i potentati della Serie A. E che pian piano costruisce una squadra che possa rivaleggiare con chi dietro ha industrie nazionali e tifoserie che percorrono tutta la nazione.
Con lo spirito della formica, anno dopo anno, aggiunge tasselli e la squadra prende consapevolezza. Perché anche l’utopia ha bisogno di progetti credibili e non di sciupio di risorse. Così la Doria comincia a girare lo stivale con la fama che cresce. Guardata con rispetto come si guardano le squadre che nella bacheca lucidano l’argenteria.
A far crescere la meglio gioventù italiana. Con calma. Aspettando che la classe maturi. E creandogli attorno un ambiente che sappia di famiglia. In cui tu sei il buon padre. Pronto ad ascoltare tutti e ad avere sempre la parola giusta per creare concordia. Così anche quando arrivano gli squadroni a sputare miliardi per un giocatore, il giocatore dice no perché non si abbandona una famiglia.
Così la squadra si consolida. Non più oggetto di simpatia. Ma temuta. Con quei gemelli del gol che scambiano veloce al limite dell’area a far girare la testa a stopper e liberi.
Tanto da arrivare l’anno del destino 1991. Scudetto. Una parola impronunciabile, quasi blasfema. A far venire le vertigini tanto è l’altezza. Ma così è. E la parte blucerchiata di Genova che, presa da disorientamento, ride e piange. In una sola espressione.
Perché il sogno quando si realizza ha i contorni dell’irrealtà.