“Non parlate in più di tre o quattro per volta che sennò non si capisce niente!”
Una volta esisteva il salotto televisivo in cui i giornalisti pacatamente analizzavano le partite ed esisteva il bar dello sport con la sua gazzarra di opinioni.
Aldo Biscardi nel 1980 confonde i piani e porta il Bar dello sport in tv. La rissa confusa e pretestuosa dei tifosi acquisisce dignità televisiva.
In una Rai ingessata e beneducata entra la chiassosa banda di Biscardi con le sue polemiche create ad arte; giusto per far litigare la gente. E i giornalisti si tolgono la giacca e la pipa e indossano la sciarpa e la bandiera abbandonando la sacrale terzietà. Il giornalista diventa tifoso: esiste il giornalista dell’Inter, quello della Roma quello che tifa per il bel calcio.
Tutti hanno un’opinione per lo più precostituita e ognuno cerca di farla prevalere, magari gridando più forte dell’altro. È la trasmissione del “popolo”, dove non ci si nasconde dietro il perbenismo dell’imparzialità. E così il suo accento molisano diventa un marchio, un simbolo di genuinità rispetto a chi strascica le vocali per nascondere le proprie origini. Lui no, lo cavalca, lo mette in mostra perché lui è come noi e non si nasconde. E come a noi, gli piace circondarsi di donne, magari più giovani. Così non mancano mai uno o più vallette al suo fianco che sorridono e magari riescono anche a chiamare la pubblicità, se lui glielo concede.
Una commedia dell’arte, con quelle maschere dai caratteri contrapposti che scatenano il processo con il suo contraddittorio. I Melli,i Mosca, i De Cesari, i Corno hanno sempre un’opinione uguale e contraria per far partire la rissa. E nella sua commedia osa così tanto da inventare il doppio studio, uno a Milano e l’altro a Roma. A inscenare anche la battaglia dei campanili, la lotta tra il Palazzo e la Capitale morale, la Lega contro Roma ladrona. E come un tribuno del popolo cavalca battaglie “popolari”, come la moviola in campo che raccoglie adesioni bulgare dalla sua audience.
E quando la Rai vorrà quietare l’alto tasso di litigiosità del programma, lui migrerà verso altri lidi (Tele+, La7) ché il suo ciuffo pel di carota ne è ormai il marchio inconfondibile; così il Processo diventa il Processo di Biscardi per problemi di copyright. Finché anche lui non inciamperà in Calciopoli perdendo quel rapporto di fiducia con il suo pubblico da giudice terzo che si era costruito.
Ma lui con l’ostinazione del contadino meridionale continuerà a presenziare in improbabili reti locali in uno spettacolo ormai superato dai tempi.