8 DICEMBRE 1985 TOKYO
69’ JUVENTUS-ARGENTINOS JUNIORS
FINALE COPPA INTERCONTINENTALE
Lesa maestà. Lesa maestà.
Perché quel giorno in Giappone “le roi” compie un atto regale. A dichiararsi sovrano. Davanti al mondo. In uno strombazzare di trombette.
Al minuto 69 la partita è in parità. 1-1. Una palla colpita di testa da Bonini vaga in aria. Platini arcua la schiena e la raccoglie di petto. Come con uno scrigno da proteggere gelosamente. Una marea di maglie rosse si para di fronte a lui. Certi che dopo il petto arriverà il tiro a volo.
Ma con fare sornione, di chi alimenta una visione oscura agli altri, sceglie la strada meno ovvia. Gioca con la balistica e con un pallonetto di destro scavalca due giocatori, già pronti ad opporre il corpo al tiro.
Così, superata la barriera umana argentina, riprende la palla col sinistro e a volo insacca nell’angolino destro.
Più che l’esecuzione il pensiero. L’idea che in una frazione di secondo diventa azione. Con la leggerezza di chi veleggia a qualche centimetro da terra. Con l’eleganza di chi rivendica la nobiltà.
Ma l’urlo viene strozzato in gola perché all’improvviso arriva un fischio. Un incomprensibile fischio. Da parte dell’arbitro Volken Roth. Che annulla il gol. Tra l’incredulità di tutti. Sarà un fuorigioco. Un fallo di mano. Un gioco pericoloso. Nessuno riesce a comprendere.
Nemmeno Platini che, sbigottito, mette le mani sulla testa. E poi, senza sbraitare, si adagia sul prato. Steso come fosse su un triclinio. Con la mano che sorregge il mento. A contrapporre l’ironia all’ingiustizia.
Mostrando la più elegante delle proteste. Per un atto di lesa maestà.