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IL CAMPETTO

IL CAMPETTO

Il sabato, al suono della campanella, correvamo tutti verso l’uscita. Eravamo liberi. La domenica non si va a scuola. Allora andavamo veloci verso casa ché le famiglie ci aspettavano per mangiare. Io mangiavo con una voracità famelica, quasi qualcuno mi dovesse togliere il piatto dalla tavola.

Era il buco allo stomaco che mi guidava. Ma anche l’idea che prima finivo e prima sarei uscito ché il sabato organizzavamo il torneo tra le vie del mio quartiere. Finito di mangiare, scendevo le scale a tre alla volta e correvo verso il nostro campetto.

Il campetto di Bananuccio (non ho mai capito l’origine del nome; forse il soprannome di chi l’aveva creato) era un campetto situato nella campagna dietro casa mia. Il mio era un quartiere periferico e i palazzi si affacciavano su alberi di olivo e ciliegi. Anche se l’urbanizzazione sottraeva sempre più terra all’agricoltura, c’era uno spiazzo in cui avevamo creato il nostro piccolo stadio.

Il terreno di gioco si adattava alla conformazione del terreno.

Il campo era in diagonale perché da una parte campeggiavano dei rovi di gelsi dove ogni tanto qualche pallone andava a morire, forato dalle acuminate spine.

Ovviamente era tutto in terra e nonostante avessimo perso giorni d’estate per spietrarlo, le pietre sembravano riprodursi. Così capitava spesso che colpissimo una pietra al posto del pallone.

Le porte erano per lo più immaginarie. Per segnare i pali mettevamo delle grosse pietre. Da qui le infinite discussioni per capire se la palla fosse finita alta sulla traversa; traversa che non esisteva nella realtà ma solo nel nostro senso comune.

Le linee erano create da noi attraverso un masso di gesso che avevamo rubato da un cantiere. Sembravano rette tracciate da un anziano colto da tremolio improvviso. Quasi un elettrocardiogramma.

E poi c’era un tronco d’albero di cui era rimasta solo la base e le sue infinite radici. Se eri concentrato sull’azione e dimenticavi la sua esistenza, capitava che ti ritrovavi per terra chiedendoti il perché. Quante croste, lividi e anche qualche punto di sutura gli ho dedicato.

Arrivato al campo, incontravi tutte le squadre e iniziava il torneo. 1000 lire a persona la quota d’iscrizione e chi vinceva si prendeva tutto e magari ci scappava una pizza la sera. Calcio Graffiti