Popolo di mare l’Italia. Nel Mediterraneo a navigare tra genti diverse. A solcare l’acqua con imbarcazioni che diventano casa. Tanto che quel mare diventa la tua terra. Come avesse la consistenza delle zolle e quelle barche fossero aratri. Che la dissodano. E quell’elemento diventasse parte del tuo corpo. Acqua che scorre dentro di te.
E su quel mare, di quella tradizione fatta di secoli, si cibano due fratelli. Carmine e Giuseppe Abbagnale. A Castellammare di Stabia. Vicino ad Amalfi. Che fu repubblica marinara. Lì gettano l’armo in mare e si allenano. Con costanza e tenacia. A d accrescere fisico e mentalità. La maestosità delle spalle e l’intelligenza dello stratega.
E dal 1981 cominciano a vincere. A dominare con l’inevitabilità della superiorità. Facendo della corsia un tappeto regale. Con quell’armo che taglia l’acqua a crearsi un canale. Con il remo che la solleva e spinge l’imbarcazione. Quasi strattonandola. Incessante. Con una costanza matematica.
E ogni volta che il carrello bascula si rinnova la fatica. Quella degli allenamenti duri. Quella che ti ha portato lì ad esprimere la potenza. Ammirata adesso dal mondo. Ma mantenendo quell’umiltà che viene dalla campagna. Di quando da ragazzi lavoravano nei campi del padre. Anche nei festeggiamenti. Sobri. Pensando che si è fatto solo il proprio dovere.
E insieme a loro il compagno fedele di una vita. Il timoniere Peppiniello Di Capua. A dettare i tempi della vittoria. Con quel fisico da scugnizzo. Nascosto da quei corpi rocciosi. Quasi un giullare alla corte del re.
E ad alimentare la leggenda, le telecronache appassionate di Giampiero Galeazzi. Che entra sul campo di gara. Con la sua voce che occupa la scena e crea palpitazione. Scandendo il ticchettio del nostro cuore. Tanto che stremati arriviamo all’arrivo. Come l’avessimo vissuta noi. La fatica.