La libertà è più importante della vita stessa. Così importante che la riconosci anche negli altri. Che rispetti la libertà altrui. Perché l’uomo libero ama chi non si fa omologare. Chi agisce in coerenza con se stesso. Mai per convenienza. E quando qualcuno vuole mettergli delle catene, lui si ribella.
Giovanni Galeone era un allenatore atipico. Quasi naif. A trattare i suoi giocatori come persone prima che sottoposti. A donare loro la libertà.
E con questo il senso di responsabilità. A non imporre orari, astinenze sessuali. Rigide norme. Ma a pensare di valorizzare la loro autonomia. Il pensare con la propria testa.
E anche in campo. Lasciare liberi i calciatori. In uno schema dove emerga il brio, la leggerezza. Il divertimento di giocare a pallone. Una zona solare. Non rigidi schemi da ripetere a menadito. Ma libertà all’interno di un’organizzazione.
Giocare per divertirsi. Anche a costo di catastrofiche scoppole. Ma non si può giocare con la paura di non prenderle. Quel Pescara dei miracoli giocava sbarazzino. Quasi impertinente. A presentarsi in casa dalle grandi cercando di far calcio. Dando un’idea di soavità.
Galeone sembrava sempre lontano da quel mondo. Un alieno. Con quella faccia pensosa di chi ha letto Sartre e Proust. E che guarda con distacco alle cose del pallone. Perché il calcio è solo uno dei tanti modi di guardare alla vita. Però la vita è altrove. Lì dove risiede la nostra libertà. Calcio Graffiti