Sei su una sedia a rotelle ed entri in campo. Il tuo campo. Il tuo stadio. Che ti accoglie come uno di loro. Uno che ha portato fiero la fascia. Senza mai eccedere. Con la modestia di chi sa che la maglia è più importante dell’uomo. Perché gli uomini passano ma la maglia resta.
Gianluca Signorini è stato capitano di quel Genoa sbarcato in Europa a rivaleggiare con squadre storiche. Con una tradizione da albo d’oro. Lei che la storia l’ha scritta. Incidendo per primo il suo nome tra le scudettate. Riportando il Grifone dove gli competeva. Dove l’anzianità e il blasone lo collocano.
E si sentiva uno di quelle parti lui. Lui che era nato a Pisa. Ma era come se tra quei carrugi, quei palazzi fosse sempre stato. Con l’odore del mare che ti apre i polmoni. E quell’orizzonte sempre aperto. A guardare in lontananza la venuta di nuovi ospiti.
Adottato da quel popolo di cui è diventato bandiera. Con quella fierezza che mostrava in campo . Con il petto in fuori e la testa alta. Il primo a far partire l’azione. Ché i suoi piedi erano quelli di un centrocampista raffinato. Come quando anticipava tutti e imperioso usciva palla al piede a fare di una difesa un’improvvisa azione offensiva.
Il più moderno dei difensori. Tanto che Sacchi mostrava le videocassette a Baresi con i suoi movimenti. Per insegnargli la sua zona. Quasi un antesignano di chi scelse di aderire ad una rivoluzione tattica. Due anni a Parma a prepararla quella rivoluzione. E lui a guidarla con quella difesa che improvvisa saliva invece di arretrare. Con una squadra che conquistò San Siro e il cuore del Presidente Berlusconi.
Se n’è andato troppo presto Signorini.
Lasciando il vuoto incolmabile di chi ci ha fornito un esempio. Per stile ed eleganza. Calcio Graffiti
Record: 205 presenze In Serie A 5 gol