Tutta la vita insegui ciò che ami. La proteggi silenzioso. Guardandola con occhi languidi. Perché un giorno sarà tua. La possederai. Per farla diventare ciò che desideri. Custodendo quell’amore perché non sfiorisca mai. Perché sia sempre vivo dentro di te.
Dino Viola era innamorato della Roma. Lui che a Roma non era nato ma che vi si trasferì in giovane età. E subito fu amore folle.
Prima come semplice tifoso. Poi entrando nella dirigenza. Infine acquisendone la proprietà. Realizzando un sogno. Quello di forgiare la sua creatura. Perché il suo lavoro e la sua passione si incontrassero. Perché la razionalità del manager e la follia del tifoso si amalgamassero.
Tanto pervaso da questo amore da lasciare in gestione la sua fabbrica per dedicarsi solo a Lei. Che necessitava di cure. Di premura. Perché non fosse sempre citata come la Rometta. Ma perché potesse non subire più quel senso d’inferiorità verso le squadre del Nord. Ché in fondo si è la capitale d’Italia.
Tifoso tra i tifosi. Sempre vicino anche alla curva. Cercando anche di educare. Di convogliare quella passione infinita nel supporto. Perché questo sentimento non diventasse frustrazione. Ancor peggio violenza. Orgoglioso degli 80000 che affollavano l’Olimpico. Perché quel calore era anche il suo. E lui ne era l’artefice.
Lavoratore instancabile. Sempre vicino alla squadra. E sempre al lavoro per ridarle dignità. Con quel volto serioso che nascondeva un’ironia tagliente. Fatta di frasi sibilline. Di provocazioni sottaciute. Per combattere i potentati senza esporsi troppo. Con un humor inglese che feriva con leggerezza. A ricordare a tutti che anche sotto il Rubicone si potevano creare squadre competitive e sane.