Conserva sempre quel sogno che cullavi da bambino. Quando scendevi in strada con la maglia della squadra della tua città. E fingevi di essere il centravanti. E poi immaginavi di andare sotto la curva a festeggiare e sentivi rombare nelle tue orecchie il pubblico adorante. Che scandiva il tuo nome.
Non rovinare quel sogno di bimbo. Ché i soldi non ripagheranno mai la realizzazione di tutto questo.
Cristiano Lucarelli, dopo tanto peregrinare tra Italia e Spagna, finalmente giunge nella sua città. Livorno.
Nel 2003. Il bambino incontra l’adulto e si prendono la squadra. E quelle visioni diventano realtà. La rete che si gonfia, il pubblico che lo inneggia, la fascia da capitano. Tutto come già visto. Tutto come un deja-vu.
In mezzo a quella gente che lo sente uno di loro. Ché parlano la stesso lingua. Ché si è frequentato le stesse scuole. E la domenica si andava in curva insieme. Parti della stessa identità. E quando segni, perché il tuo mestiere è segnare, è come se quel bambino rinascesse ogni volta. Perché non hai tradito il suo cuore.
Era centravanti classico Lucarelli. Con testa alta a rivaleggiare di testa con i difensori. E a far lotta di spalle e di gomito. Presenza fisica incombente accompagnato da tecnica e visione. Lì a protegger palla attendendo la discesa dei centrocampisti. A far reparto da solo quando serve. A mettere legno in cascina.
E se poi diventi capocannoniere con quella maglia amaranto i tuoi desideri vengono appagati. Perché quello che immaginavi, la sera prima di addormentarti preconizzando il futuro, si è avverato.
Dopo 3 anni livornesi ha continuato il suo vagabondare per l’Italia e l’Europa per poi tornare ancora un altro anno a casa. Perché quello del calciatore è un mestiere ma se indossi la tua vera pelle ti senti in pace con te stesso.
E per quella sensazione di benessere non valgono tutti i soldi del mondo. Perché la paga più grande è l’affetto della tua gente.
Record: 192 presenze nel Livorno 111 gol