Una città. Due squadre. Due identità contrapposte. Una cattolica e indipendentista. L’altra protestante e unionista. A mostrare le due anime della Scozia. Per un derby che sconfina nella politica. In due modi opposti di guardare al mondo.
E l’identità orgogliosa di chi rappresenta una comunità. Con quella maglia a fasce bianco-verdi a ricordare le lontane origine irlandesi. A rinforzare ancor di più la voglia di autonomia ed indipendenza. Quello spirito che la fa sentire fiera di essere diversa.
E così la squadra decide di avere tra le sue fila solo giocatori cattolici. Perché l’identità non è fatta di parole. Ma di idee e comportamenti. Perché chi gioca e suda per quella maglia, lo fa perché la sente addosso come propagine del proprio sé. E quindi sputa sangue e sudore per lei. Perché in palio c’è l’orgoglio di una nazione.
Ma nel 1967 non c’è solo la supremazia cittadina da conquistare. Ma l’Europa. Uscendo dalla propria rassicurante terra e conquistando il continente. Rivaleggiando con le squadre che fino ad allora lo avevano dominato. Le latine.
Dal 1956 solo Italia, Spagna e Portogallo lo avevano vinto. Mostrando la tecnica degli iberici insieme alla sagacia tattica degli italiani. Scuole in cui talento e intelligenza erano le firme del dominio. E questa squadra fatta da 10 ragazzi arrivati da Glasgow si confronta con la Grande Inter. A combattere contro tecnica e contropiede. Contro il catenaccio furbo e disarmante di chi approfitta della troppa generosità altrui. Ma la veemenza e l’aggressività anglosassone ha la meglio sullo spirito latino e porta oltremanica la Coppa. A ricordare che esiste un altro calcio. A rinverdire i fasti di una terra che questo sport l’ha visto nascere.
E gli eroi di quel giorno saranno per sempre ricordati come “Lisbon Lions”. Calcio Graffiti