Quasi indifferente all’azione, Gerd Müller dimorava nell’area di rigore. Ché quella era la sua casa. E lì aspettava il pallone. Tanto era il pallone a cercare lui. Per un rapporto di complicità erotico. Quasi i due fossero nati per incontrarsi.
Così Gerd si acquattava in area di rigore. Come un felino quando individua la preda. E scompariva agli occhi dei difensori. Nascosto tra le pieghe del campo. E tra le infinite trame di gioco.
Perché era un egoista lui. Mentre tutto il mondo si dannava a costruire azioni, strategie e schemi, lui pensava solo ad una cosa. AL GOL.
Lui che non era stato dotato di tecnica sopraffina. Né di un fisico elegante e slanciato. Ma di polpacci ben torniti e gambe tozze da scaricatore di porto. E un baricentro basso da rendere naturale lo scatto nel breve.
Così quando la palla si insinuava in area, lui si rianimava e come colto da raptus scagliava avanti gambe e fisico per possederla. Per sentirla tra i piedi e poi gettarla in porta. In modo talvolta sgraziato. Quasi il fisico fosse attratto e si slanciasse prima della mente.
Solo allora il difensore si accorgeva della sua esistenza. Di quella presenza sorniona. Invisibile agli occhi. Che aveva fatto bivacco nell’area piccola.
E lui era sempre dove il pallone decideva di andare. Visionario nel cogliere il destino di traiettorie, rimpalli e marcature. A cogliere l’opportunità.
Ha segnato tanto Gerd. Gol di qualsiasi fattura. Per lo più facili. A porta libera. Di rimpallo. Di opportunismo. Nessuna differenza. Perché a lui interessava solo il brivido che lo pervadeva quando vedeva la rete accogliere il pallone. Con quella piccola onda di consenso che fa quando la sfera si insacca.
Perché Gerd Müller era nato per il gol. E al gol ha consacrato la sua vita.