Il 19 maggio del 1984 all’Italia fu assegnata l’organizzazione dei Mondiali del 1990.
6 anni per costruire stadi, organizzare l’accoglienza, edificare strade. E tra le altre incombenze creare una mascotte. Che fosse il simbolo dell’evento.
Venne così indetto un concorso. La mascotte non doveva ricordare luoghi e personaggi noti. Ma doveva rappresentare la nazione.
Vinse il concorso il pubblicitario Lucio Boscardin davanti ad una giuria prestigiosa che presentava tra i suoi membri Pininfarina, Federico Zeri e Armando Testa.
Le mascotte precedenti erano pupazzetti di animali, bambini o simpatici oggetti. Di quelli da regalare ai nipotini. Questa invece era la figura stilizzata di un calciatore. Una forma astratta. Composta da tanti cubi colorati che diventavano tricolori. E che al posto della testa aveva un pallone. Più vicino ad un’opera futurista che ad un peluche.
Fu presentato in pompa magna davanti al Presidente Cossiga. E divise subito pubblico e critica. Per alcuni di una bruttezza sconvolgente, per altri simbolo del dinamismo e creatività. Una figura fredda per alcuni, per altri un condensato dello spirito di una nazione.
Fatto sta che, partorita la creatura, bisognava dargli un nome. E allora si pensò ad un referendum nazionale. Legando questo battesimo al gioco più amato dagli italiani: il Totocalcio. Si doveva scegliere tra Amico, Beniamino, Bimbo, Ciao, Dribbly. Cinque nomi scelti attraverso un’indagine demoscopica.
Vinse, anzi stravinse Ciao. E da allora quella creatura fu chiamata dall’intera nazione così.
Insospettabilmente ebbe un successo sconvolgente. E con lui tutta la pletora di gadget, poster, pupazzetti che lo rappresentavano. Un successo commerciale strepitoso a testimoniare come le vie della pubblicità siano insondabili.