Il calcio è lo sport di tutti. È lo sport della suora che tifa Lazio mentre svolge la sua missione divina. Dell’africano trapiantato a Brescia. Del politico che soffre per la sua squadra come noi.
Ma è anche di chi di calcio non si interessa. Che lo guarda talvolta con simpatia, come un fenomeno di costume. E parteggia per una squadra solo per partecipare al fenomeno collettivo. Al grande gioco in maschera.
Fabio Fazio organizza nel 1993 una banda strampalata e cerca di portare l’uomo comune al centro della piazza calcistica. L’uomo qualunque con le sue passioni, le sue idiosincrasie e le sue debolezze. E tutto diventa trash.
La goffagine di persone fuori dal proprio contesto intenerisce e strappa un sorriso. Fa ridere l’operaio che diventa giornalista, il prete che diventa tifoso, il giornalista storico (Everardo Dalla Noce) che fa l’inviato sui campi di calcio. Come vivessimo continuamente l’imbarazzo dell’immedesimazione. Una continua inversione dei ruoli che fa della trasmissione un grande Carnevale televisivo.
Nasceva in un periodo in cui era ancora la radio a raccontare il calcio. E ne era valorizzata con l’incursione di “Tutto il calcio minuto per minuto” ad affermare che il racconto epico si poteva affiancare con la commedia. Commedia dell’arte con personaggi che rappresentavano mestieri, campanili, caratteri.
Una ventata di freschezza in una rete ingessata e in un mondo di calcio che si prende sempre troppo sul serio. A raccogliere consensi anche tra chi il calcio lo odiava. Ché se vedi bene può diventare anche un un frizzante divertissement.
Ha creato un modo di raccontare lo sport ma ha forse creato anche un tipo di televisione (trash) di cui si sono cibati reality e talk show di defilippiana memoria.