Mancano poche ore alla partita. E sei solo nel tuo ufficio. E ripensi mentalmente alla formazione da schierare. La ripeti come una filastrocca. Come se questo ti servisse ad ammazzare i dubbi che ti tormentano.
Perché hai valutato gli avversari. Li hai studiati. E hai preparato la squadra. La tattica. E adesso devi comunicare i titolari. E qualcuno si adombrerà. Vedrai la delusione insinuarsi nei solchi del suo viso. Quella voglia di rivoltare il mondo trattenuta in un sorriso di convenienza.
Perché il tuo destino sta nella scelta. Dolorosa. Quella che può donare gioia o rabbia. E allora devi essere un buono psicologo tu. Sempre attento a mediare. Ché non ti è concessa la sincerità. Perché i giocatori sono prima uomini e poi professionisti. E come uomini sono fragili.
Hai il peso della responsabilità tu. Dalle tue decisioni dipende tutto. Sta a te dare un volto alla squadra. Un’identità. Col lavoro quotidiano. Con l’allenamento. Far sì che diventi la tua creatura. Ché si noti la mano del creatore che l’ha plasmata.
E quando si perde, mentre i tuoi giocatori tornano a testa bassa negli spogliatoi, tu devi raccogliere le forze. Tenendo la testa alta. A mostrare dignità a giornalisti, tifosi e dirigenti.
Sei un buon padre tu. Attento al rimprovero ma anche alla rassicurazione. Per vedere crescere i tuoi. Per farli diventare uomini.
La partita adesso sta iniziando e ti accomodi in panchina. Sperando nella bontà delle tue scelte. E se saranno sbagliate ti accollerai tutte le colpe.