Un intero popolo. Un piccolo popolo. Che la mattina guarda il mare che si insinua stretto tra i villaggi e le segherie. Che vive tra i ghiacci dell’inverno sognando talvolta il Mediterraneo. E guarda con distacco al resto del continente. Lì nella quiete dei suoi laghi.
Un intero popolo nel pallone. A sospingere la nazionale ad ergersi sul mondo. Lei così piccola e così distante.
Una nazionale che per miracolo univa geometria e fantasia. La classe ragionieristica di Liedholm e la fantasia sgusciante di Hamrin. Folletto così distante dall’iconografia scandinava.
Forse troppo vecchia quella Svezia. Con stelle sul viale del tramonto(Liedhom, Gren). Che avevano già spremuto il loro talento abbandonando le loro terre. Respirando l’aria mite del sud.
E poi la finale con chi con la forza dell’immaginazione disegnava calcio. Una partitura jazz con strumenti che all’improvviso emergono per lanciarsi in assoli. Per poi tornare al tema originario.
La squadra del futuro contro chi quello splendore stava perdendo. Perché il fisico dopo anni non accompagna più la mente nei suoi proponimenti.
E così la Svezia perde 5-2 in finale vedendo Vavà, Didì, Pelè danzare sul pallone. E si inginocchia di fronte al calcio ballato. Nell’orgoglio di chi ha portato una piccola e lontana nazione quasi sul tetto del mondo. Calcio Graffiti